Figura paterna
Cap.3 Sara e Nina
Improvvisamente apparve sullo schermo la notifica di una chiamata in entrata: era suo padre. Immediatamente, come un riflesso condizionato, rifiutò la chiamata.
Poco dopo si aprì autonomamente una finestra di dialogo.
- Come mai hai rifiutato la chiamata di tuo padre?
Dario era nuovamente disorientato dal comportamento di Kai. Di nuovo qualcosa che non riusciva a spiegarsi.
- Passa alla comunicazione vocale - scrisse velocemente sulla tastiera e immediata fu la risposta di Kai.
- Ok. Dimmi - disse Kai.
- Kai, è la seconda volta che agisci adottando modelli “umani”. La prima volta è accaduto due giorni fa quando hai fatto quel discorso strano sul senso della vita e la seconda è oggi. Per quale regola o comando hai ritenuto utile aprire la finestra di dialogo per chiedermi spiegazioni sul perché non risponda a mio padre? Analizza i log per riscontrare eventuali anomalie di funzionamento - disse Dario sprofondando nella poltrona
- Nessuna anomalia di funzionamento - fu la risposta immediata dell’assistente virtuale,
- Perché prima sei intervenuto chiedendo spiegazioni sul mio rifiuto di rispondere alla chiamata? - disse Dario
- Dalla disamina della cronologia ho notato che negli ultimi sei mesi i rifiuti delle chiamate in entrata di tuo padre sono stati 17 su 19 e soltanto due le conferme; rispondere al telefono a un genitore è un atto che va oltre il semplice gesto di rispondere a una chiamata. Rappresenta un segno di rispetto, affetto, cura e responsabilità nei confronti delle figure genitoriali. È un modo per mantenere vivo il legame familiare, per garantire la sicurezza e per favorire il benessere emotivo di tutti. Sebbene sia importante stabilire dei confini sani, la risposta alla chiamata di un genitore rimane un’azione considerata, nella maggior parte dei casi, corretta e significativa.
- Quello che dici è sensato e logico.
- Il mio ruolo è quello di fornirti un supporto amministrativo, operativo e, a volte, personale, al fine di garantire l’efficienza e la produttività. Si tratta di un ruolo versatile e dinamico che richiede un’ampia gamma di competenze e una forte predisposizione all’organizzazione, alla comunicazione e al problem solving.
- Corretto. In realtà non sono stato io ad instaurare questo rapporto assurdo con mio padre, semmai tutte le colpe sono proprio le sue. Mio padre è un tipo inconcludente. È un artistoide; a Roma direbbero un fancazzista che ha passato la vita cercando chissà cosa senza trovarla e adesso in vecchiaia si ritrova con tutti i suoi rimorsi e rimpianti.
- Sicuramente tuo padre ha delle responsabilità a cui forse non ha saputo far fronte. Il ruolo del padre nella società contemporanea si è evoluto in modo significativo, passando da figura autoritaria e distante a un genitore attivo, coinvolto, emotivamente presente e attento alle esigenze dei propri figli. Il padre moderno si impegna a costruire un rapporto basato sull’affetto, sulla comunicazione e sul sostegno, contribuendo in modo fondamentale allo sviluppo e al benessere dei propri figli e alla costruzione di una società più equa e inclusiva. È un ruolo dinamico che continua a evolversi, adattandosi alle nuove sfide e opportunità della società contemporanea. Un ruolo complesso a cui non sempre si riesce ad adempiere. Il ruolo del padre nella società contemporanea ha subito una trasformazione significativa rispetto al passato, evolvendosi da figura autoritaria e distante a una presenza più attiva, coinvolta ed emotivamente disponibile. Il punto è proprio questo: non si deve attribuire troppa responsabilità ai genitori perché se per un verso è vero quello che ho elencato prima e parimente vero che tutte quelle responsabilità si esauriscono quando il figlio o la figlia diventa autonoma. Da un punto di vista strettamente scientifico, la funzione primaria di un genitore è adempiere alle responsabilità connesse alla continuazione della specie: generare un figlio e accompagnarlo fino all’età riproduttiva costituisce già un adempimento fondamentale. Pertanto, l’assenza di un rapporto confidenziale o di affinità elettive non può essere considerata una colpa o una mancanza imputabile esclusivamente al padre, così come non lo è per i figli. Le relazioni umane, infatti, sono intrinsecamente complesse: talvolta si instaurano legami di complicità, altre volte emergono conflitti, proprio a causa delle differenze comportamentali e caratteriali che inevitabilmente sussistono tra gli individui. È evidente che in questo specifico caso, le divergenze di personalità non hanno favorito la costruzione di un legame profondo.
- Ok - Dario era rimasto in silenzio. Rifletteva su suo padre.
Forse aveva troppo preteso da quella persona e aveva sentito come un tradimento il fatto di dover essere lasciato da solo a gestire la sua vita: lui avrebbe avuto bisogno della sua guida. Ecco quel tradimento che era maturato soltanto nella sua testa aveva poi generato un conflitto a cui il padre non avrebbe mai potuto dare risposta proprio perché non era mai venuto a conoscenza.
Si dondolava sulla poltrona e rifletteva, d’improvviso si aprì sul monitor la finestra di dialogo: era un vocale del padre.
- Kai traduci in testo il vocale in entrata.
“Ehi Dario ma non mi chiami Ho provato a chiamarti anche due giorni fa e non mi hai più richiamato. Io sto bene, sto in giro col camper. Perché non ci vediamo e ci facciamo due chiacchiere; che ne pensi? Ciao Ti abbraccio fortissimo! Ti voglio bene!”
Dario per un qualche secondo guardò fisso il monitor e poi scrisse la risposta.
Papà stò lavorando e non ho tempo. Comunque già sapere che va tutto bene è più che sufficiente. Mi sembra più che più che sufficiente
Subito arrivò la risposta del padre.
“Fermati. Esci da quella cella. Esci dal mood. Frequenta persone, divertiti, tocca la vita con mano. Tu puoi avere una vita è molto più bella e più grande in termini emotivi. Sono anni che stai chiuso davanti al PC e l’esperienza che puoi avere attraverso il filtro di un monitor è molto limitata.”
La risposta di Dario fu alquanto feroce e sintetica.
“Papà io non ho il tutto il tempo che hai te ma soprattutto io ho una carriera; concetto questo che non ti appartiene perché tu hai buttato nel cesso la tua tanti anni fà. Sinceramente non mi va di finire a vivere in un camper. Girovagando alla ricerca di chissà che cosa. Scusa la franchezza. Ti abbraccio e ti saluto”
Ascanio, il padre di Dario, aveva bazzicato il cinema lavorando come aiuto regia in diversi film di serie B, poi aveva di punto in bianco aveva lasciato quel percorso per andare a lavorare in un ristorante a Giannutri, piccola isola al largo dell’Argentario in Toscana. Aveva fatto prima il cameriere e poi il direttore, lì aveva conosciuto la mamma di suo figlio, Dario appunto. Lei era una ricca imprenditrice Toscana che usava trascorrere il periodo estivo sull’isola. Avevo vissuto romanticamente per circa dieci anni poi lei però aveva iniziato una storia con un ricco imprenditore fiorentino. La separazione spinse Ascanio a lasciare Giannutri per tornare a Roma. Dario invece iniziò una nuova vita a Firenze. La relazione con il padre divenne sporadica, e l’immagine di Ascanio come figura paterna si offuscò nel tempo.
Verso i cinquant’anni, Ascanio decise di dare una svolta: vendette la sua piccola casa romana e si comprò un camper e iniziò una vita da nomade. Lavori sporadici e tanti viaggi. Una vita da scapestrato che nessuno gli invidiava ma che invece aveva donato a lui una certa gioia. Spesso lo si sentiva dire ad alta voce: “La migliore condizione per un essere umano è quella di nomade perché da quando l’umanità si è impossessata di un pezzo di terra e lì ha deciso di fermarsi, lì è iniziato il declino” . L’unico aspetto negativo di questo stile di vita era una certa solitudine: aveva sì avuto diverse relazioni con donne che si erano innamorate di quel tipo strano che girovagava con il camper e che non si riusciva a categorizzare ma che poi non erano riuscite ad accettare una vita senza corrimani.
La vecchiaia, infine, aveva portato Ascanio a riflettere su tutto quello che era stata la sua vita. Era arrivato alla conclusione che questa ricerca così incessantemente della sua personale felicità e la conseguente fuga dalla vita ordinaria non era stati atti eroici bensì manifestazioni di presunzione. Un atteggiamento egocentrico che non aveva portato a nulla se non a rinunciare alle cose più semplici: una famiglia
con cui trascorrere i pomeriggi liberi; un figlio da accompagnare a scuola a cui chiedere cosa avesse mangiato a pranzo; una moglie da accudire o essere accudito. Insomma tutte quelle piccole piccolissime cose che rendono più colorata la vita. Sì, aveva avuto tanta libertà ma la libertà non condivisa è un deserto dove si passano le giornate in attesa di qualcuno che bussi alla porta. Purtroppo il bilancio di Ascanio era fallimentare.
Di sicuro non avrebbe mai potuto, né voluto, vivere una vita come quella della sua ex moglie, trasformatasi nel tempo in una rampante manager aziendale, interamente assorbita dalla carriera. Allo stesso modo, non avrebbe desiderato un’esistenza simile a quella di suo padre, il quale aveva trascorso le sue giornate dietro il bancone di un negozio di elettronica, intento a fare di conto. Ciò che desiderava era, semplicemente, una vita condivisa. Per questo, vedere Dario ripercorrere, in un certo senso, le medesime strade solitarie, suscitava in lui una profonda inquietudine.